PASOLINI l’aveva
capito, Moravia anche. I soli a non rendersene
conto, se non con rabbia, sono stati forse i primi governanti moderni
dello Yemen che, alla fine degli anni 60, si diedero a distruggere
le antiche architetture per elevare casermoni bulgaro-coreani. E
non a caso il salvataggio del patrimonio yemenita è oggi una delle
grandi preoccupazioni dell’Unesco. Un patrimonio unico al mondo,
un esempio vivente, soprattutto in architettura, di come si operasse
nel passato. Perché, fino a pochi decenni fa, e in gran parte anche
ora, lo Yemen, paese dei profumi e degli incensi, viveva ancora
in un’epoca lontana. Come se l’Italia fosse passata in meno di 40
anni dal 1400 all’oggi, senza elaborare nessun anticorpo contro
i virus della modernità. , Grattacieli di fango, torri da Mille
e una notte e quindi il deserto, il più implacabile e sconosciuto.
Eppure un deserto vivo, capace di rovesciare a ondate fiumi di popoli
che noi conosciamo bene: accadi, babilonesi, assiri. E poi aramei,
amaleciti, ebrei, arabi. «E’ il deserto - spiega il professor Alessandro
de Maigret, nome francese, parlata fiorentina, cattedra napoletana
- che ha prodotto le genti che occuparono la fertile Mezzaluna,
che costituirono tante civiltà del Medio Oriente. E fu sempre il
deserto che ha partorito le civiltà sudarabiche». De Maigret, ci
elenca nomi antichi, quelli della Bibbia, degli antichi portolani
dei naviganti, le storie dei magi e dei mercanti: Sabei, Minei,
Hymariti... In quell’angolo del mondo sorsero imperi antichissimi,
regni che connettevano le civiltà della Valle dell’Indo con l’Africa,
stati scomparsi sotto la sabbia ma che hanno lasciato lo stesso
alfabeto all’Etiopia e a Saba, che hanno barattato l’oro del nord
con gli aromi del sud. De Maigret e gli italiani scavano tra le
sabbie e le montagne yemenite fin dal 1980 e hanno contribuito ad
aggiungere una nuova famiglia a quelle che costituiscono la nostra
civiltà (gli scavi di Baraqesh, i graffiti di Yalà sono tra i loro
successi). Noi sappiamo che i pilastri della civiltà occidentale,
quello greco, quello ebraico, quello romano, poggiano su strati
più profondi: Mesopotamia, Anatolia, Egitto. Oggi scopriamo un altro
basamento, quello sudarabico, così lontano e così vicino. Terra
di favola, ma di favola in qualche modo nostra, se è vero che l’incenso
e la mirra offerti a Betlemme venivano da qui, se è vero che la
regina di Saba visitò Salomone e fino a ieri i re dei re di Etiopia
(titolo persiano arrivato attraverso lo Yemen) vantavano di discendere
da loro. «Ma fu la pietra il materiale in cui essi si riconoscevano
- spiega de Maigret -, il durissimo granito e l’alabastro traslucido.
Gente venuta dalla sabbia del deserto che si sentiva in qualche
modo simile al sasso del deserto. Gente che fu unica nel costruire
vie commerciali e nell’imbrigliare le acque». Quando i Persiani,
nel V-IV secolo a.C, si impadronirono della via delle spezie e dei
profumi i sudarabici seppero aggirarli passando per l’Africa e scendendo
poi il Nilo. Gente che seppe rendere viva e fertile la sua terra
costruendo dighe gigantesche. Dighe erette con le mani i cui resti
lasciano ancora stupiti, come a Marib, come nelle tuttora vive cisterne
a gradini dei piccoli paesi. Certo: l’ebraismo e l’islàm hanno portato
questa lezione fin nel cuore del mondo, ma una delle radici di questo
modo di intendere la fede in un dio irrapresentabile e ineffabile
è qui. Un paesaggio completamente formato dal lavoro umano, un’architettura
insieme mimetica e vivacissima. Quelle torri da leggenda, quelle
case refrigerate con un uso sapiente della pietra traforata, quelle
mura di fango più resistente del sasso. Una serie di immagini di
un mondo che ha saputo fare della necessità arte e dell’intelligenza
strumento di vita. Un mondo, è il caso di ricordarlo, arabo e islamico
dove gli ebrei vivono in pace da forse duemila anni. Un mondo che
non spreca una goccia d’acqua e che forse ha una lezione per questa
modernità sempre più assetata. Ecco perché Pasolini,
e Moravia, e Quilici ne furono affascinati.
(tratto da il Messagero 3 Aprile 2000 )
Per contribuire alla difesa dello Yemen Pasolini realizzò
nel 1971 il cortometraggio Le mura di Sana’a
, documentario in forma di appello all’ UNESCO (35mm – Durata 13’20"
). Girò inoltre in Yemen alcuni dei suoi momenti cinematografici
più alti come ad esempio "Il
fiore delle Mille ed una notte" (Durata 130')
LA VITA
FILMOGRAFIA
LE MURA DI SANA'A
IL FIORE DELL MILLLE
ED UNA NOTTE
HANNO DETTO DI LUI
F: ZERI
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